L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. rappresenta uno dei catastrofici eventi naturali più noti della storia antica, capace di annientare intere comunità romane, tra cui Pompei, Stabia e la piccola città di Ercolano. Questo disastro non solo ha segnato la fine di molte vite, ma ha anche lasciato un’impronta indelebile nella memoria collettiva dell’umanità.
Durante l’eruzione, un giovane di circa 20 anni cercò rifugio nel Collegium Augustalium di Ercolano, un tempio dedicato al culto di Augusto, il primo Imperatore di Roma. Sfortunatamente, il suo tentativo di salvezza si rivelò vano, poiché fu colpito da una sottile ma torrida corrente d’aria sprigionata dal vulcano, che ne causò la morte.
Secoli dopo, gli archeologi hanno scoperto i resti del giovane, notando che la sua conservazione era notevolmente diversa rispetto a quella degli altri abitanti di Ercolano e Pompei. Mentre la maggior parte delle vittime fu vaporizzata istantaneamente a causa delle alte temperature dei flussi piroclastici, il corpo del giovane si è preservato nel tempo, con alcune parti trasformate in blocchi di vetro, come accaduto al suo cervello. Questa scoperta ha sollevato interrogativi nel mondo scientifico, in particolare per la consistenza del suo cervello, che appariva simile a un frammento di ossidiana.
Recentemente, un gruppo di ricercatori italiani e tedeschi, coordinato da Guido Giordano dell’Università Roma Tre e Pier Paolo Petrone dell’Università Federico II, ha avanzato una nuova teoria per spiegare il fenomeno. I risultati della loro ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports, dopo che un primo studio su questo argomento era stato rilasciato nel 2020, suscitando inizialmente critiche.
Secondo gli scienziati, i flussi piroclastici che distrussero Ercolano e Pompei furono preceduti da una nube di cenere surriscaldata che ricoprì il terreno circostante. Il giovane, rifugiatosi nel tempio, evitò il contatto diretto con le ceneri e i flussi piroclastici, i quali avrebbero potuto vaporizzare il suo corpo. Tuttavia, le temperature elevate all’esterno del tempio portarono comunque alla sua morte, causando la rapida perdita di liquidi e la vetrificazione degli organi, incluso il cervello.
Un ruolo cruciale nella conservazione del cervello è stato giocato da un improvviso raffreddamento, che, insieme alla presenza delle ossa del cranio, ha impedito al cervello di evaporare rapidamente. Questo raffreddamento ha anche ostacolato la cristallizzazione immediata del cervello, mantenendolo in uno stato vetrificato.
La scoperta di alcuni frammenti di carbone nelle vicinanze del corpo ha suggerito l’associazione con le nubi ardenti. Le evidenze indicano che la morte del giovane non avvenne in modo rapido, ma piuttosto in un’agonia prolungata, correlata all’aumento delle temperature all’interno del tempio e all’avvicinamento del flusso piroclastico. Una fine drammatica, che riecheggia le scene di un film dell’orrore.