Nella storia dell’umanità, diverse culture hanno adottato pratiche di imbalsamazione e mummificazione dei propri defunti. Tuttavia, questa tradizione sta lentamente scomparendo, influenzata dalla diffusione delle religioni abramitiche e dalla globalizzazione. Nel 2025, gli studiosi dispongono di un’ampia varietà di mummie, non solo quelle egiziane, le più celebri, ma anche mummie cinesi, giapponesi legate alla pratica del Sokuchinbutsu, e mummie provenienti da popolazioni precolombiane e peruviane. Alcuni esemplari, come l’uomo di Tollund e Ötzi, sono il risultato di eventi naturali.
Un recente studio, pubblicato nel 2025 sulla rivista Journal of the American Chemical Society, ha approfondito questa tematica. La ricerca è stata condotta dal team di Matija Strlič, che ha analizzato il corpo di nove mummie conservate presso il Museo egiziano del Cairo. Il professore Strlič ha dichiarato che “l’odore dei corpi mummificati ha suscitato un forte interesse tra esperti e pubblico, ma finora non era stato realizzato uno studio scientifico che unisse chimica e percezione”. Questo lavoro innovativo offre nuove prospettive sulla conservazione delle mummie e sui materiali utilizzati nell’imbalsamazione.
I risultati ottenuti dall’equipe di ricerca hanno rivelato che il 78% delle mummie analizzate emana un aroma definito “legnoso”, mentre il 67% ha un odore “speziato”. Solo un terzo delle mummie presenta odori sgradevoli, descritti come “stantii” o “rancidi”. Per giungere a queste conclusioni, gli scienziati hanno utilizzato tecnologie avanzate, come la cromatografia gassosa e la spettrometria di massa, strumenti in grado di separare i composti aromatici rilasciati dalle mummie.
Questa ricerca offre un’importante opportunità per comprendere meglio le tecniche di imbalsamazione utilizzate dagli antichi e per migliorare le pratiche di conservazione delle mummie, permettendo di preservare non solo la loro integrità fisica, ma anche il loro valore culturale e storico.