
Coronavirus, la sanità italiana definanzata da dieci anni: tagliati 43mila dipendenti e i posti letto sotto la media Ue
L’emergenza Coronavirus ha ulteriormente messo in crisi il Sistema Sanitario Nazionale, infatti da un decennio la politica sta tagliando risorse alla sanità, per un totale di 37 miliardi, penalizzando non solo gli ospedali pubblici, ma anche i privati convenzionati.
Secondo uno studio del centro di ricerche indipendente Gimbe, fra il 2010 e il 2019 c’è stato un aumento di risorse per 8,8 miliardi, ma questo aumento è stato inferiore al tasso d’inflazione dunque di fatto si è verificata una decurtazione del budget.
Durante il governo di Mario Monti, la stagione della spending review ha determinato un taglio alla spesa sanitaria di 6,8 miliardi fino al 2015. Secondo il ministro di allora Renato Balduzzi, il taglio avrebbe dovuto portare ad una migliore gestione delle risorse. Ma secondo quanto riferì Quotidiano Sanità, in soli due anni”la mazzata, batosta o che dir si voglia, c’è stata: meno posti letto: circa 7.000 che portano così i tagli totali di posti letto dal 2000 ad oggi (10 dicembre 2012, ndr) a quota 72.000″.
In nome del risanamento dei bilanci locali e delle aziende sanitarie, sono scattati i piani di rientro per le Regioni con uno squilibrio nella sanità superiore al 5 per cento del finanziamento complessivo.
I governatori allora hanno deciso di tagliare ancora, per esempio nel Lazio, Nicola Zingaretti, ha cassato 3.600 posti letto e chiuso diversi ospedali. Il bilancio regionale della sanità è tornato in positivo, ma ci sono stati dei cambiamenti nei costi e servizi, a discapito della comunità.
Al posto degli ospedali, sono subentrate le Case della salute più economiche, si tratta infatti di strutture ambulatoriali sul territorio che offrono alcune cure primarie. Tuttavia, l’Ufficio parlamentare di bilancio il 2 dicembre 2019 ha pubblicato un bilancio dello stato di salute della sanità dove sono stati evidenziati tutti i limiti del nuovo modello messo in campo dai governatori “l’insufficiente potenziamento dei servizi territoriali pone un’incognita sul successo dell’operazione, con segnali di razionamento delle prestazioni rispetto ai bisogni, che emergono in particolare nei servizi di emergenza”.
Per Gimbe, nello stesso periodo dei 37 miliardi di risparmi, almeno il 50 per cento dei tagli ha colpito il personale dipendente e convenzionato riducendo i servizi per i cittadini: “a questo andamento ha corrisposto un ridimensionamento del numero di lavoratori, compresi medici e infermieri, in particolare nelle Regioni in piano di rientro, e un peggioramento delle condizioni di lavoro”, hanno spiegato gli esperti dell’ufficio parlamentare, affermando che sono andati persi 42.800 dipendenti a tempo indeterminato.
Il numero di posti letto per 1.000 abitanti negli ospedali è sceso sotto la media europea, secondo il centro studi dell’ufficio parlamentare, l’indicatore era al 3,9 nel 2007 e al 3,2 nel 2017 contro una media europea diminuita da 5,7 a 5.